La storia del Sushi

Le origini e l’evoluzione di uno dei piatti più amati e rappresentativi del Giappone.

Come la stragrande maggioranza dei piatti e delle specialità che colorano ed arricchiscono il mondo, il sushi ha risentito delle contaminazioni e delle influenze culturali delle terre che abbracciano le isole nipponiche, andando poi a sintetizzare usi e gusti, sviluppando quelle caratteristiche e quelle specificità che nei decenni sono andate a consacrarlo una delle specialità gastronomiche più apprezzate a livello mondiale, nonché un autentico sinonimo del Giappone stesso.

Storicamente, le origini del sushi – o, più precisamente, dell’embrione di ciò che noi oggi chiamiamo sushi – vengono fatte risalire al quarto secolo dopo Cristo, sebbene secondo diverse fonti si potrebbe ricondurre a periodi ancor più risalenti. L’impulso, la scintilla che ha messo in moto il processo di modificazione e stratificazione culturale che ha portato sino al sushi che conosciamo ai giorni nostri è essenzialmente quello della conservazione dei cibi per lunghi periodi di tempo.

Come in moltissimi altri casi, di cui potremmo fare innumerevoli esempi anche in contesti europei o persino della stessa cucina italiana, infatti, l’esigenza di conservare i cibi e preservarli dall’azione degradante degli agenti esterni o dagli insetti era assolutamente primaria e fondamentale per la vita e la sopravvivenza stessa delle comunità umane, in epoche in cui non era ovviamente ancora diffusa la conservazione a freddo.

In tutta l’area geografica che abbraccia le isole che vanno a comporre il Giappone, infatti, a quel tempo era diffuso un metodo di conservazione del pesce, che prevedeva di racchiuderlo nel riso bollito o cotto, dopo averlo eviscerato e opportunamente salato. L’acido prodotto dai chicchi di riso isolava la carne del pesce, preservandola così dall’aggressione dei batteri che avrebbero altrimenti finito per avariarlo e renderlo immangiabile o pericoloso.

Il pesce così conservato poteva durare anche per settimane, mentre il riso, che inevitabilmente finiva con il fermentare, veniva gettato via come materiale di scarto, una volta esaurita la sua funzione protettiva nei confronti del pesce. Questa modalità di conservazione era già diffusa nella zona est della Cina e in quella dove oggi sono situate la Corea del Nord e del Sud, la cui influenza culturale e le cui materie prime raggiunsero in breve tempo le coste nipponiche, iniziando a diffondersi.

Più il palato degli abitanti del Giappone andava abituandosi al sapore e alla sapidità del pesce conservato in questo specifico modo – ossia praticamente crudo, con la sola aggiunta di sale – più andava prendendo piede il suo consumo e più un cibo viene consumato e preparato più andrà a condizionarsi e sposarsi con le peculiarità di chi lo prepara. Basti pensare alle innumerevoli declinazioni regionali e locali di pietanze nate appunto con lo scopo di conservare i cibi, come il ragù, il brasato e in genere ogni tipologia di affettato o insaccato diffuso in Italia.

A cavallo tra il quattordicesimo ed il quindicesimo secolo – in quello che nella storiografia nipponica viene definito periodo Muromachi – infatti, il riso grazie al quale il pesce riusciva ad essere così a lungo conservato iniziò a non venir più gettato via, quanto piuttosto ad essere associato ad esso come companatico. La lieve acidità del riso fermentato veniva ormai considerata complementare alla sapidità del pesce, tanto da iniziare ad assumere i connotati di una vera e propria ricetta.

Ulteriore riprova della modificazione rispetto all’assetto originale è proprio il nuovo ruolo che inizia a ricoprire il riso. Da mero elemento di nuda utilità, infatti, inizia a diventare un complemento costante del sapore del pesce. È in questo periodo che, inoltre, anziché lasciarlo fermentare, si inizia ad aggiungere una piccola quantità di aceto al riso bollito, rendendolo così di veloce preparazione e quasi immediatamente pronto per essere mangiato, ovviamente accompagnato al pesce.

Lo sviluppo del sushi come tradizione Giapponese. Il periodo Edo e l’epoca moderna.

L’epoca Edo, tra il diciannovesimo ed il diciottesimo secolo, se da una parte può essere visto come un periodo di quasi totale ed impenetrabile chiusura del Giappone nei confronti delle influenze culturali esterne – in particolar modo quelle europee ed anglosassoni – da un altro punto di vista è stata una palestra grazie alla quale molti aspetti di quella cultura nipponica che conosciamo oggigiorno si sono consolidati e compattati, radicandosi nella stessa società giapponese.

Il sushi non fa certo eccezione; è infatti in questo periodo che si sviluppano le modalità più classiche e tradizionali di preparazione e consumo del sushi, diffuse ed apprezzate ancora ai giorni nostri. Se il riso ormai viene esclusivamente bollito insieme ad una piccola parte di aceto per poter essere consumato e preparato rapidamente, il pesce inizia ad essere declinato in quelle scale di sapori che conosciamo ed amiamo anche oggi, a ormai più di due secoli di distanza.

Anche in questo caso, sono le esigenze di conservazione a dettare il passo. Per poter preservare il pesce da servire insieme al riso, infatti, iniziano ad essere impiegati su larga scala il sale e, soprattutto, la salsa di soia, la cui marinatura riusciva a preservare il pesce dall’avaria e dal decadimento, rendendolo allo stesso tempo saporito e di facile consumo. Più o meno coevo è anche l’impiego del wasabi che, ben prima di essere un condimento acre e piccante, serviva a coprire gli odori non sempre gradevoli del pesce a lungo conservato.

È solo nel novecento, tuttavia, che il sushi assume quei connotati di pietanza diffusa a livello popolare e massificato. Questo ulteriore salto lo si deve ad un evento storico, il grande terremoto ed il successivo incendio che quasi distrusse completamente la città di Tokyo nel 1923, che ha spinto grandi masse popolari e operaie dalle campagne alle città per lavorare alla ricostruzione della capitale. Il sushi fece presto breccia nella quotidianità dei lavoratori provenienti dall’entroterra, entrando a far parte sempre più della cultura giapponese.

Nell’immediato dopoguerra, la pietanza ormai divenuta universalmente diffusa ed apprezzata a livello nazionale, iniziò a riscuotere i primi successi commerciali, con un conseguente aumento del costo ed una sempre maggiore raffinatezza del servizio come delle materie prime impiegate. Iniziano a prendere forma i locali specializzati, molti dei quali presenti tutt’oggi e ancora in attività, ed iniziano a prendere carattere le varie declinazioni e variazioni sul tema classico del pesce adagiato sul bolo di riso.

Il sushi come fenomeno di massa esportato dalla globalizzazione è figlio dell’apice del boom economico giapponese della seconda metà degli anni ottanta del novecento, in cui il mercato e la cultura nipponica hanno iniziato a diffondersi e farsi amare ben oltre i propri confini, in particolar modo in Europa e negli Stati Uniti, diventando di fatto uno dei simboli del Giappone per eccellenza, nonché uno dei cibi più apprezzati a livello mondiale e che ormai possiamo permetterci di gustare anche sul divano di casa nostra.